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Corso di Economia di Base

Lezione sul Mercato Finanziario di Stefano Lucarelli - 2 dicembre 2014

Lezione sul Mercato del lavoro di Andrea Fumagalli - 25 novembre 2014

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Dibattito pubblico
PRESENTAZIONE DI SINISTRA LAVORO

ATTACCO AL LAVORO
ATTACCO AL SINDACATO

Ecco il vero signifivato del Jobs Act!

Milano, GIOVEDI 23 OTTOBRE – ore 18
CAMERA DEL LAVORO METROPOLITANA



Quale sinistra unitaria da ricostruire
per rispondere efficacemente,
estendere i diritti a chi non li ha, attuare politiche economiche
di uscita dalla crisi dalla parte
dei lavoratori?

Il Governo Renzi ha anch'esso messo mano allo Statuto dei Lavoratori cancellando conquiste storiche, tra le quali le tutele previste dall’articolo 18: si tratta dell’ennesimo attacco ai danni del mondo del lavoro. Le parole di Renzi, di sfida e di irrisione, nei confronti del sindacato la dicono lunga sulle sue reali intenzioni: distruggere ogni forma di organizzazione dei lavoratori per dare mano libera alle imprese di disporre in assoluta libertà del lavoro, ridotto in condizioni di ricattabilità. a causa della pressoché totale libertà di licenziamento, e della crisi, che da oltre otto anni sta falcidiando l’occupazione.

“Sinistra Lavoro” si propone di contribuire alla costruzione del versante politico del movimento dei lavoratori, e in questa direzione, di contribuire alla costruzione di una nuova sinistra politica unitaria, dei diritti e del lavoro.

Introduzione di Matteo Gaddi (scritta)
Interventi (Mp3) di Tatiana Cazzaniga, Tino Magni, Nicola Nicolosi, Onorio Rosati, Mirco Rota, Maria Sciancati, Riccardo Terzi, Claudio Grassi.

RELAZIONE DI MATTEO GADDI

LE RAGIONI DI SINISTRA LAVORO

Partiamo da una constatazione: l’attuale fase caratterizzata principalmente da una intensificazione degli attacchi nei confronti del mondo del lavoro: la stessa crisi economica viene utilizzata per accelerare e intensificare questi attacchi. Questo avviene in modi diversi. Direttamente: con licenziamenti, chiusure di fabbriche, delocalizzazioni all’estero; ma anche, in maniera indiretta: con la minaccia di queste cose qualora i lavoratori non accettassero peggioramento della loro condizione (quante volte si sono minacciate delocalizzazioni all’estero per cancellare diritti, stravolgere i contratti, ridurre i salari, peggiorare le condizioni di lavoro come orari, ritmi ecc !).

Si tratta comunque di una tendenza di medio-lungo periodo, databile almeno dagli anni ’80: ogni volta che un Governo è intervenuto in materia di lavoro lo ha fatto per peggiorare la condizione dei lavoratori segnando un regresso continuo. Basta elencare i temi per capire di cosa stiamo parlando: la contingenza, la scala mobile, le riforme sulle pensioni (Dini, Maroni, Damiano, Sacconi, da ultimo la Fornero), i continui attacchi al sistema della contrattazione nazionale per smantellare il CCNL (deroghe, sostituzione dei CCNL con contratti aziendali ecc.) e del sistema di relazioni sindacali; i continui interventi sullo Statuto dei Lavoratori (2 anni fa le leggi Fornero su art. 18 ecc., ora l’attacco organico all’impianto complessivo della legge 300); l’aumento della precarietà (non solo la legge Biagi, ma anche la gravissima la legge Poletti che liberalizza i contratti a termine togliendo al “causale”) ecc.
Per tacere di quelle trasformazioni generali che hanno rideterminato i rapporti tra le classi: su tutti la questione fiscale, con lavoratori  e pensionati che pagano il maggior carico fiscale.

E, in questi anni, con la crisi si sono moltiplicati i casi di crisi aziendali che in ogni territorio hanno provocato decine e decine di situazioni di difficoltà; la maggior parte delle quali risultano tutt’ora irrisolte con i lavoratori che stanno scivolando dalla CIG, alla mobilità e poi verso la disoccupazione tout court. Crisi stanno travolgendo tutto: singole aziende, gruppi industriali, settori, distretti, interi territori in fase di deindustrializzazione.

Ma non facciamola lunga sulla lista dei mali che tutti conosciamo.
Piuttosto, da una parte, chiediamoci come tutto questo è potuto avvenire; dall’altra chiediamoci cosa concretamente possiamo fare. Concretamente: non limitiamoci a commentare la crisi e le disgrazie del mondo del lavoro; e soprattutto piantiamola di fare i “grilli parlanti”. Ragioniamo, piuttosto, su cosa possiamo fare di utile per la nostra classe.
E quando ci chiediamo del perché, dobbiamo evitare due atteggiamenti speculari.
Il primo: quello che attribuisce tutte le difficoltà ai cambiamenti strutturali del mondo del lavoro e dell'impresa: il decentramento produttivo, la produzione diffusa, gli atipici ecc. Si tratta di una cavolata: il lavoro cambia sempre e la classe lavoratrice non è sempre stata concentrata nelle grandi fabbriche: basti pensare alla condizione di fine fine 800-inizio 900: eppure sindacato e partito organizzavano la classe lavoratrice. Il secondo: quello che attribuisce tutte le disgrazie al “tradimento” dei gruppi dirigenti. Si tratta di una spiegazione di comodo, autoconsolatoria, ma che non dice nulla sul perché questo sia avvenuto e, soprattutto, perché non ci siano state reazioni “larghe” a questi “tradimenti”.
Come detto: si tratta di due atteggiamenti speculari che condannano all’impotenza, che ti limitano alla denuncia astratta.

Partiamo piuttosto da un dato di fatto. Da quanti anni manca in Italia una forza politica che assume il lavoro come elemento centrale ?
Non a parole: tutti oggi parlano di “centralità del lavoro”.
Noi intendiamo, invece, riferirci ad un progetto politico, che mette al centro il lavoro e i lavoratori, intesi come il soggetto sociale, collettivo, organizzato in grado di promuovere un cambiamento complessivo della società. Soggetto generale, cioè portatore di un progetto generale di società.
Per questo noi parliamo di un soggetto politico che organizza e rappresenta i lavoratori, inoltre che ne fa protagonisti politici effettivi, parte dirigente del soggetto stesso. Che li organizza a partire dai loro luoghi di lavoro.

Ci sono iniziative interessanti che rappresentano per noi punti di riferimento del nostro progetto politico, seppur nel rigoroso rispetto degli ambiti di autonomia dei soggetti sindacali e di movimento.
Facciamo riferimento al nuovo protagonismo delle RSU.
L’autoconvocazione contro la Riforma Fornero sulle pensioni.
L’autoconvocazione contro il testo unico sulla rappresentanza e per la democrazia.
La recente iniziativa (6/700 firme raccolte in pochi giorni) per la lettera a Epifani sul Jobs Act.
Iniziative che parlano di una attivazione importante dei delegati sindacali, con i quali intendiamo avere un rapporto privilegiato.

Nel frattempo, in occasione dell’ultimo Congresso CGIL si è costituita una importante area di “sinistra sindacale” che ha messo insieme l’esperienza storica di “Lavoro e Società” con quella della “CGIL che vogliamo”. Il risultato congressuale, seppur ragguardevole è sottodimensionato rispetto al reale consenso sulle posizioni di quest’area (basti pensare al risultato sull’emendamento sulle pensioni al congresso CGIL che ha ottenuto oltre 400mila voti). Si tratta di un’Area che si sta strutturando nelle categorie e nei territori, in modo da rendere sempre più efficace la sua iniziativa sugli elementi di programma e di prospettiva che la caratterizzano. Sarebbe sbagliato, però, ridurre tutta la ricca esperienza della sinistra sindacale ad una sola area: citiamo qui l’esperienza di categorie importanti come la FIOM o di camere del lavoro come Brescia e Reggio Emilia o di importanti realtà sindacali locali.

Il ruolo della sinistra sindacale (intesa in senso ampio) è stato fondamentale per l’esito del direttivo nazionale di fine settembre che ha portato alla convocazione della manifestazione del 25 ottobre (con un documento importante che parla della necessità di cambiare verso” alla politica economica italiana per poter cambiare il Paese, attuare un piano straordinario per l’occupazione da finanziarsi con una patrimoniale sulle grandi ricchezze.
Il superamento del patto di stabilità interno, Mettere il lavoro al centro di una nuova politica economica anche con strumenti concreti di
distribuzione del lavoro: dai contratti di solidarietà alla eliminazione della decontribuzione delle ore di straordinario,con l'incentivazione di riduzioni di
orario, "cambiare verso" anche nella gestione delle piccole e grandi vertenze aperte, contrastare i piani di ridimensionamento delle imprese, affrontare i nodi della politica industriale per determinare le prospettive di crescita.)

La manifestazione nazionale del 25 è stata preceduta da significative manifestazioni locali: scioperi generali territoriali come in Emilia Romagna (50mila persone), a Brescia, manifestazioni FIOM nel territorio lombardo come Milano (8 ottobre per contestare il vertice BCE) e Brescia (regionale con Landini). Importanti manifestazioni, anche unitarie, sono in programma (8 novembre pubblico impiego), ci sono categorie che hanno già definito pacchetti di iniziative (FIOM con gli scioperi ecc.).
Va sottolineato il cambio di quadro anche per la CGIL, fino a un anno e mezzo fa proponeva il Piano per il Lavoro, una sorta di programma per il Governo, oggi viene attaccata frontalmente e quasi irrisa da Renzi.

Da tutto questo muove l’intenzione di Sinistra Lavoro di contribuire alla riaggregazione politica delle componenti non settarie e non estremiste della sinistra italiana, in modo da superare la sua condizione penosa, ciò di cui esistono le possibilità. Sinistra Lavoro si pone come parte utile di questa riaggregazione, proprio per la sua presenza significativa nel mondo del lavoro. Tale riaggregazione politica, recuperando il meglio della storia della sinistra italiana, dovrà darsi uno sguardo ampio sul complesso dei problemi della nostra epoca, a partire da quelli che travagliano l'Italia, l'Europa, il Mediterraneo, il Medio Oriente. Sinistra Lavoro dovrà agire contro l'attacco alla democrazia e alla Costituzione, coessenziale all'attacco al mondo del lavoro. Dovrà essere capace di intervenire in appoggio a mobilitazioni ma anche con proposte concrete sul complesso dei dati di sofferenza delle classi popolari italiane. Dovrà dotarsi di un programma riguardante il rilancio economico su base avanzata del paese, l'abbattimento del potere in Europa dei grandi potentati finanziari, la difesa del nostro territorio e del nostro patrimonio culturale e alimentare, la difesa del clima dall'uso insensato di fossile, quindi il ricambio energetico, la pacificazione dei rapporti tra le popolazioni della nostra area, lo sviluppo partecipativo della nostra democrazia, la democratizzazione dell'Unione Europea, iniziative di disarmo generale, scambi economici tra gli stati basati sulle convenienze reali delle popolazioni.

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L’Associazione Culturale Punto Rosso, il Centro Culturale Concetto Marchesi e l’Associazione politico-culturale MarxXXI, indicono la presente assemblea pubblica:

UNIRE LA SINISTRA
EMERGENZA LAVORO, EMERGENZA DEMOCRAZIA, EMERGENZA SINISTRA

Senza una sinistra del lavoro le classi popolari non possono intrecciare i loro diritti con il potere al fine di realizzarli, e la democrazia non può dirsi compiuta


Le politiche liberiste della Ue e di casa nostra, nell’acuirsi della crisi, si fanno sempre più aggressive, anche attraverso un loro trasformismo preoccupante. Sotto attacco sono, come sempre, in primis, i diritti dei lavoratori e della povera gente. Ma è l’intera società ad essere sottoposta ad una torsione autoritaria, come risposta ad un progressivo impoverimento, sempre più insopportabile. Il malessere sociale, che finora ha avuto caratteristiche individualistiche e depressive, si sta ora manifestando sempre più come rabbia sociale e risentimento collettivo. Ma senza un progetto di cambiamento democratico radicato, gli effetti di una rivolta sociale possono essere devastanti e portare direttamente ad una crisi verticale della democrazia (da noi assai fragile) e ad una svolta autoritaria. La personalizzazione della politica e l’anti-politica si trasmutano nel bisogno dell’“uomo forte”, la crisi sociale e individuale chiama lo stato d’eccezione in cui la forza assicura l’ordine. In questi passaggi a rimetterci sono sempre le classi subalterne: le classi dominanti alla fine si sono sempre accordate con la spinta autoritaria. E senza una sinistra del lavoro e dell’uguaglianza, forte ed egemone, le classi popolari non possono intrecciare i loro diritti con il potere per realizzarli.
Siamo già in emergenza, e la recrudescenza fascista, il razzismo montante e gli attacchi alle sedi sindacali ne sono il simbolo più evidente. Serve subito uno scatto di attività per porre un argine alla crisi economica e sociale e, in tal modo, difendere e promuovere la democrazia stessa. Serve una sinistra forte, unita, e decisa a tornare a dirigere i processi sociali e le istituzioni, con idee innovative e un programma immediato di intervento, centrato sull’attuazione della Costituzione, in grado di raccogliere consenso di massa e di tradurlo in atti di governo dello Stato e dell’economia, con politiche reali per la crescita, di contrasto netto all’austerità, con politiche industriali all’altezza della situazione, con necessariamente al centro il primato dell’intervento pubblico in economia.
Non c’è più tempo: è forse l’ultima occasione che abbiamo.
Proponiamo che tutti quelli che la pensano così si ritrovino insieme, si aiutino reciprocamente a costruire questo programma e da esso si provino a ricostruire una nuova rappresentanza politica e una nuova sinistra unita per il nostro Paese.

Assemblea pubblica
MILANO, MERCOLEDI 29 GENNAIO 2014, ORE 18-21
CAMERA DEL LAVORO, SALA BUOZZI, CORSO DI PORTA VITTORA 43

Partecipano: Nicola Nicolosi (Segr. Naz. Cgil), Riccardo Terzi (Spi Cgil), Mirco Rota (Segr. Fiom Lombardia), Corradino Mineo (Senatore Pd, già direttore Rai News 24), Francesco Ferrara (Sel), Onorio Rosati (Cons. Reg. Lombardia Pd), Claudio Grassi (Prc, coord. Essere Comunisti), Stefano Barbieri (Pdci), Luigi Vinci (Movimento per il Partito del Lavoro), Nicoletta Pirotta (Fae-Femministe per un’altra Europa) e altri in via di definizione.
Presiedono Tatiana Cazzaniga e Bruno Casati

Promuovono Associazione Culturale Punto Rosso, Centro Culturale Concetto Marchesi, Associazione politico-culturale MarxXXI

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Unire la sinistra politica di classe
discussione pubblica - Milano 18 novembre 2013

Partecipano tra gli altri: Stefano Barbieri, Fausto Sorini, Bruno Casati, Bruno Steri, Armando Petrini, Igor Kocijancic, Stefano Cristiano, Luigi Vinci, Matteo Gaddi, Mauro Cimaschi, Giancarlo Saccoman, Antonio Pizzinato, Maria Sciancati.

L’OMBELICO E IL DITALE

Un fantasma si aggira per l’Italia, già luogo del più potente partito comunista occidentale: la sinistra politica di classe. C’è, ma non c’è. C’è nel PD, ma soprattutto non c’è. C’è in SEL, ma poco, e si vede ancora meno. E’ dichiarata come proprio requisito dai cocci che formarono la Federazione della Sinistra, ma non se ne accorge nessuno. Parallelamente tutti i cocci dichiarano che perché il popolo se ne accorga occorre ricomporsi, ma troppi rinviano gli atti in questo senso perché c’è prima qualcosa da realizzare a nome del proprio ombelico. Nel frattempo crisi sistemica e politiche liberiste europee e di governo continuano a triturare occupazione, redditi popolari, stato sociale, patrimonio industriale, e tutti ne convengono, ma l’ombelico continua a risultare un freno decisivo.
Non è solo questione, per troppi cocci, della garanzia di tenuta organizzativa offerta dall’ombelico, anche perché è palesemente una garanzia in via di evaporazione. E’ anche questione di una storia almeno ventennale: quella della perdita di tempo, di risorse umane e di risorse materiali nel ditale del conflitto interno tra fazioni e personaggi in dissenso sulla tattica elettorale e sulla ripartizione dei ruoli organizzativi e di potere interni.
Dentro a questo ditale si è smarrita ogni capacità di ascolto collettivo e orientato a pratica politica di massa dei vissuti materiali, spirituali e psicologici del referente ultradichiarato e a cui è sempre stata giurata eterna fedeltà, il proletariato italiano.
Non una sola iniziativa di massa, per vent’anni e più, non propagandistica ma orientata a fornire una soluzione positiva a qualche richiesta proletaria pressante. Non una riflessione sulla fungibilità o meno all’azione di massa sulle questioni più direttamente di classe, da parte di strutture organizzative, apparati, selezione delle figure istituzionali, selezione del quadro dirigente, rapporti interni, forme della discussione interna. Quest’ultima è sempre più diventata il ragguaglio immaginifico e comiziale di quello che i massmedia borghesi raccontavano della realtà politica e sociale, italiana e non. Alla militanza è stato offerto solamente, da un lato di partecipare alle tifoserie di fazione o individuali, dall’altro di raccogliere firme sulle iniziative altrui: cosa quest’ultima quasi sempre utile, certamente, ma al tempo stesso inadeguata e anche mistificatoria, orientata cioè a celare l’inconsistenza generalizzata della propria collettività politica, partito o fazione che fosse. Passo dopo passo la separazione dal proletariato è diventata assoluta, e la vita interna è risultata non solo dominata ma monopolizzata dalle lotte interne e dalle questioni tattico-elettorali. Infine l’assommarsi di scissioni e di catastrofi elettorali ha fatto il resto, cioè portato a sostanziale scomparsa.
In controtendenza, piccole quote dei cocci della ex Federazione della Sinistra hanno operato, da un anno a questa parte, uscendo dal ditale, sul versante proletario, dapprima avviando elementi di inchiesta che consentissero una comprensione della condizione proletaria soggettiva, poi passando a operare politicamente. Veniva montando una prepotente e al tempo stesso impotente richiesta nell’avanguardia di classe di riorganizzazione politica e di iniziativa politica: ciò è stato colto, e si è tentata una risposta pratica. I risultati sono stati al di sopra di ogni aspettativa ottimistica: c’è quindi solo da darsi da fare per ottenere importanti risultati, per incoraggiare quest’avanguardia, per vederla cominciare a disporsi sul terreno politico. Per ridare senso e prospettiva reale alla ricostituzione unitaria di una sinistra politica di classe. Questa dunque è una prima questione che poniamo alla nostra discussione: vogliamo darci davvero da fare, e da subito?
La seconda questione infine che poniamo riguarda le seguenti richieste politiche dell’avanguardia di classe: alla concretezza, alla precisione e alla fermezza dei contenuti dell’iniziativa debbono corrispondere l’intenzione dell’unità a sinistra e la sua effettività operativa. Questo concretamente significa basta con i proclami unitari a nome tuttavia dell’autotutela dell’ombelico e del ditale, basta con i ciarlatani e i settari, accorpamento immediato, al tempo stesso, delle forze serie, d’altra parte da tempo sostanzialmente convergenti su tutto l’essenziale; e interlocuzione con intento cooperativo, anche parziale, oltre che con la CGIL, con SEL e quelle parti di PD che tentano una ridislocazione a sinistra, per quanto possa essere imperfetta, del loro partito.
Si è davvero disposti in questo senso, e da subito?
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Assemblea per il Partito del Lavoro - Sesto San Giovanni, 26 ottobre 2013
Interventi dei lavoratori in Mp3

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Assemblea del 26 ottobre
Conclusioni Gian Paolo Patta


Credo che possiamo dirci tutti molto soddisfatti della iniziativa di oggi, sia per la grande partecipazione, che per il livello della discussione. Ed ha avuto questa caratteristica positiva, e non è stato il solito dibattito in cui ci si lamenta del mondo, anche perché le compagne e i compagni che sono intervenuti si sono assunti il compito di dirigere le realtà che hanno descritto. Sono compagni che tutti i giorni devono comprendere la realtà ed inserirla in un contesto, che tutti i giorni devono unire coloro che rappresentano. Sono compagni che per tentare di risolvere i problemi dei lavoratori che rappresentano incrociano la politica, il più delle volte inutilmente. E che quindi, in questa sede, descrivendo la loro specifica realtà, con tale consapevolezza, hanno descritto il mondo che li circonda: la globalizzazione, la realtà industriale e dei servizi, il ruolo dello Stato e delle istituzioni, insomma i caratteri odierni della crisi. Abbiamo parlato di tutto, ma con il taglio operativo e politico da dirigenti del movimento dei lavoratori: e per questo li ringrazio moltissimo e fa ben sperare per le prospettive. Perché dobbiamo tornare ad essere quelli che, una volta analizzata la situazione, decidono una strada, decidono di costruire una risposta con la loro partecipazione e attività, senza aspettarsela da altri.

I problemi toccati: enormi. Li raccolgo in un ragionamento complessivo. Siamo in una situazione drammatica: il nostro paese è dal 1992 che non cresce, cioè che non genera reddito aggiuntivo e che quindi sta declinando. Questo significa che siamo di fronte ad un fallimento storico del neoliberismo e della sua globalizzazione. In questi ultimi trent'anni il mondo occidentale ha vissuto il periodo a più bassa crescita dopo la crisi del 29; l'assunto per cui, tolte le regole, i vincoli, i “lacci e lacciuoli”, il mercato avrebbe assicurato una continua e robusta crescita, si è rivelato falso.
Seconda questione: c'è stata una ridistribuzione del lavoro a livello mondiale, andando a cercare il minor costo del lavoro; solo questo. Abbiamo visto portare interi settori manifatturieri all'estero (un quarto circa). E i padroni italiani hanno all'estero circa 1.600.000 dipendenti, esattamente i posti di lavoro persi qui da noi. I dati, considerati dal punto di vista dei paesi, sono fortemente negativi: ma allora perché non ci si impegna per cambiare la situazione? Perché non è così per tutti: quelle imprese italiane che hanno quei dipendenti all'estero non sono declinate insieme al perse. Loro vanno bene, e non hanno alcuna intenzione di assumere il punto di vista del paese.

E questa ricerca del più basso costo del lavoro è stata poi trasferita anche all'interno dei paesi occidentali. Non si tratta di maggiore flessibilità, ma di vera e propria deregolamentazione, in senso forte, che riguarda le leggi e financo le Costituzioni. Questo è il punto di arrivo della globalizzazione senza regole: le imprese si scelgono i paesi con le costituzioni a loro più favorevoli; per questo la nostra, fondata su una mediazione (favorevole al lavoro) tra classi sociali non gli piace affatto.

Tutto questo evidenzia come la crisi sia di sistema, non una crisi economica qualsiasi, il cui approdo è sconosciuto. E qui c'è la vera natura della crisi della politica. La scelta delle classi politiche occidentali di occuparsi solo dei conti pubblici e di finanza, lasciando al mercato la gestione dell'economia reale, non può che portare alla riproduzione acuita del disastro attuale. Non c'è controtendenza “naturale” che venga dall'economia a tale declino: ci deve essere una azione politica consapevole di contrasto. C'è quindi bisogno di una politica forte, ma in tutti settori, non solo nel taglio dei conti pubblici e nelle privatizzazioni. Anche perché l'esito disastroso di queste ultime in Italia, ha dimostrato come i capitalisti italiani siano incapaci di reggere in sistemi complessi, facendo gli investimenti necessari, e come invece siano capaci esclusivamente di dividersi le grandi rendite che ancora oggi danno questi grandi apparati economici resi privati (e l'esempio massimo è Telecom, privatizzata in ottima salute e restituita oggi con 45 miliardi di buco).
Ulteriore questione, molto menzionata oggi: si assiste ad una crisi profonda della rappresentanza politica. La causa materiale di fondo è quella che menzionavo prima e cioè che non si produce reddito aggiuntivo, e quando per molto tempo succede questo, è chiaro che la politica entra in profonda difficoltà nei rapporti con la popolazione, non essendioci nulla da distribuire. Ma i nostri partiti politici, oltre ad inginocchiarsi di fronte agli interessi della finanza, si sono trasformati in oligarghie ristrette, dato che quella subordinazione è incompatibile con la funzione costituzionale dei partiti come grandi strumenti di massa per la partecipazione del popolo al governo. E' un processo iniziato agli inizi degli anni 90 e giunto fino ad oggi, e non è affatto vero che con le primarie, e quant'altro, questi nuovi partiti abbiano più contatto con la partecipazione dei cittadini. Tant'è che nascono nuovi partiti ogni due o tre anni, in ragione appunto, dell'unica volontà delle oligarchie che li costituiscono. Altro che riforma della politica che doveva cacciare i partiti pesanti e burocratici e sostituirli con organizzazioni efficienti, trasparenti e leggere. In realtà il combinato disposto di crisi economica strutturale e crisi della politica mi fa parlare appunto di crisi di sistema, al punto che non solo le parti della Costituzione che vogliono cambiare sono sotto attacco, ma l'intera sua sostanza politica è disattesa ormai largamente o addirittura apertamente contraddetta.
E perché questo? Perché la nostra Costituzione è fondata sulla centralità lavoro, grazie alla mediazione dei social-comunisti (come ha detto, e una volta tanto sono d'accordo, nel suo ultimo libro E. Macaluso), e sulla partecipazione dei lavoratori alla politica, come recita molto chiaramente l'art. 3.

Questo è saltato; e siamo giunti ad una situazione per cui la Costituzione è applicata al contrario, e soprattutto questo avviene perché i lavoratori non contano nulla, e infatti il ribaltamento avviene in punti ben precisi. Faccio alcuni esempi. In primo luogo, la progressività delle imposte. L'unica imposta progressiva in Italia è rimasta l'Irpef: tutte le altre sono fisse e le pagano i lavoratori e i piccoli esercenti. Gli azionisti pagano una cifra fissa; chi vive di finanza paga il 12,5% fisso, chi vive di affitti paga il 21% fisso; quindi più produci e più sei tassato, più sei un parassita sociale e più sei premiato: il contrario netto della Costituzione. Altro esempio: il sistema previdenziale italiano, 400 miliardiall'anno gestiti dall'Inps. Tutto sopra le spalle di operai e parasubordinati, cioè la catena più bassa del reddito: un operaio edile paga circa il 53% tra Inps e Inail, mentre un notaio circa il 10%; la cassa dei dirigenti è addirittura in deficit: 4 miliardi all'anno a fronte di una media di erogazioni di pensioni di 50.000 Euro all'anno; insomma più sali nella scala meno paghi.

Faccio questi esempi per mostrare come è stato violentato il dettato costituzionale, e guarda caso, in punti ben precisi: non nelle parti generali su cui tutti siamo disposti a giurare fedeltà, ma nelle parti decisive che costituivano il patto sociale nato dalla Resistenza.
Per cui se i lavoratori non si fanno più rappresentare nella politica, nei parlamenti e nei governi, non stupiamoci se tutto quello che avviene va contro i lavoratori stessi. Se i lavoratori non siedono al tavolo della mediazione, con il loto peso, è “naturale” che gli altri facciano soltanto i loro interessi.

Ricostruire la rappresentanza politica del lavoro è quindi non solo nell'interesse della giustizia sociale, ma anche fondamentale per provare ad uscire dalla crisi economica. Da sempre il capitalismo in crisi distrugge le forze produttive che non riesce ad impiegare e riprende solo quando ha toccato il fondo. Ma di solito questo avviene in presenza di gradi salti tecnologici; cosa che oggi non si presenta all'orizzonte, mi pare. E quindi il baratro si approfondisce e non se ne esce “naturalmente” con il ciclo economico.

Mi avvio a concludere. Tutti noi concordiamo che abbiamo bisogno di un soggetto politico di massa, e di massa vuol dire che è in grado di fare quello che i nostri compagni fanno tutti i giorni: mettere insieme i lavoratori, non dividerli. E che quindi scelga delle linee generali, rispondenti ai grandi problemi che abbiamo di fronte, e su queste aggregare chi è d'accordo, lasciando da parte le miriadi di questioni ideologiche o politiche che continuano a dividerci. Per cui unirsi su un grande progetto politico che al centro non può che avere l'attuazione della Costituzione italiana, non solo la sua difesa formale, che pure è importantissima. La battaglia per la difesa della Costituzione diventa davvero di massa ed efficace se diventa una battaglia politica per la sua attuazione. Vogliamo quindi un partito costituzionale, e qui lo dico forte, soprattutto ai compagni del Pd che incontro, vuol dire un partito fondato sul lavoro come appunto dice l'art. 1 della Costituzione: Siete d'accordo? O no? Allora perché chiedete che la Repubblica sia fondata sul lavoro e il vostro partito non lo è? Se tutti i partiti in questo paese non lo sono, come fa veramente la Repubblica e il suo governo ad esserlo, a norma costituzionale?

Vogliamo far nascere un partito del lavoro di massa unitario fondato su un progetto largamente condiviso dai lavoratori e dalla sinistra diffusa del nostro paese. Che abbia come punto centrale di coerenza quello di essere dalla parte dei lavoratori, per tenerli uniti anche negli arretramenti, e per portarli a contare realmente. Non vogliamo fare l'ennesimo partitino di sinistra: abbiamo già dato; ma vi proponiamo di incominciare ad organizzarci intorno a questo progetto, senza aspettare che lo facciano altri, anche allo scopo di non lasciare in pace i soggetti politici esistenti, per dare le gambe in ogni luogo a questa nostra convinzione e renderla possibile. E lo vogliamo fare anche chiedendovi di fare una tessera, ma ad un movimento, in grado di accogliere anche chi ne ha un altra, senza preclusione. Lo scopo è quello di portare questo progetto e questa discussione davvero tra i lavoratori, perché non rimanga una questione di elite, nei luoghi di lavoro, nei territori, dentro le gradi organizzazione sociali, a partire senz'altro dalla Cgil e dal suo prossimo congresso.

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Assemblea del 26 ottobre
Gli interventi dalla platea: operai, impiegati, delegati sindacali
Il dibattito: tra lavoro e politica


di Matteo Gaddi

L’assemblea del 26 ottobre è stata organizzata per consentire ai lavoratori di esprimersi sul rapporto lavoro-politica e, quindi, su un soggetto politico in grado di rappresentarli. Ampia parte del partecipatissimo dibattito (oltre 250 lavoratori presenti in sala) è stato quindi dedicato ai loro interventi coordinati dalla Presidenza gestita da Giacinto Botti, segretario regionale della Cgil, che ha richiamato anche lo sciopero messo in calendario dalle confederazioni.
Molto nutrita la presenza di operai del petrolchimico di Porto Marghera (Vinyls, Montefibre, Pilkington), un’area che sta subendo una pesantissima deindustrializzazione. Nicoletta Zago ha ricordato che i lavoratori del ciclo del Cvm–Pvc hanno organizzato di tutto per difendere il loro lavoro: sciopero della fame, occupazione di isole, la salita sul Campanile. “Io non mi sento rappresentata da questo Parlamento che non ha al suo interno lavoratori: non è un caso se da quando è iniziata la nostra vertenza si sono succeduti ben 5 ministri al Mise senza trovare soluzioni”. Come è possibile che l’industria chimica non sia più considerata strategica per nostro Paese e ci troviamo senza un piano industriale?
Davide Stoppa ha ricordato tutti gli accordi di programma per Porto Marghera rimasti inattuali, e ora ci si trova con le fabbriche dimesse. “Nel tempo - ha proseguito l’operaio di Montefibre – abbiamo perso occasioni come il parco dell’idrogeno o la riconversione da fibre acriliche alla fibra a carbonio, il cui brevetto è finito nei Paesi arabi”. Ma le delocalizzazioni non sono avvenute solo all’estero, ha ricordato Alessandro Fontana: “La Pilkington chiude da noi per andare in Abruzzo: forse perché i terreni di Venezia fanno gola alla speculazione immobiliare”.
Altrettanto nutrita la presenza di metalmeccanici trevigiani (Electrolux, Zoppas, Permasteelisa) per i quali è intervenuta Manuela Marcon richiamando il crollo della produzione di elettrodomestici nel nostro Paese, passata da 30 milioni di pezzi l’anno a poco meno di 15. L’aggressiva concorrenza dei nuovi produttori (turchi, coreani ecc.) sta portando a massicce delocalizzazioni nei Paesi a basso costo del lavoro e a piani di riorganizzazione pesantissimi (vedi Indesit, Whirlpool ed Electrolux).
È toccato a Gilberto Montibeller degli edili del Trentino richiamare il tema dei lavoratori usuranti: “nelle cave di porfido non si può restare al lavoro a lungo, è impossibile reggere la fatica. Speravamo nell’approvazione del decreto Salvi, invece ci siamo trovati con la riforma Fornero che allunga l’età pensionabile”.
Se nel privato si moltiplicano chiusure e licenziamenti nel pubblico le cose non vanno tanto meglio.
Tatiana Cazzaniga del Comune di Milano ha ricordato come “il contratto è bloccato dal 2009, mentre il blocco turn over fa sì che ogni 100 dipendenti pubblici vengano sostituiti soltanto da 40 assunzioni: ma così come si fanno a mandare avanti ospedali, assistenza, scuole, nidi?”.
Micol Tuzi, pedagogista delle scuole bolognesi, è intervenuta sulla lotta dei dipendenti del Comune di Bologna per impedire privatizzazioni ed esternalizzazioni di servizi a scapito dei diritti dei lavoratori e dell’utenza: questo nonostante il chiaro esito del referendum cittadino contro il finanziamento delle scuole private e a sostegno della scuola pubblica.
Mentre Maurizio Foffo dell’Enasarco di Roma ha sottolineato che nel Lazio con la crisi economica si sono persi 170.000 posti di lavoro, mentre il pubblico impiego, con i suoi 300.000 dipendenti, ha conosciuto una perdita salariale di miliardi a causa del blocco della contrattazione.
Sempre nel Meridione, Ferruccio Diozzi, del Centro di Ricerca Aerospaziale, ha puntato il dito contro la debolezza della situazione campana, dove non si è riusciti in 25 anni “a creare qualcosa nelle aree industriali dismesse, vedi Bagnoli, mentre prolifera l’economia criminale nonostante esistano grandi competenze inutilizzate come i centri di ricerca e le università.
Roberto Malanca  della Jabil e Diego Colombo della Franco Tosi hanno rappresentato le lotte dei lavoratori di due aziende storiche del milanese strangolate da affaristi e imprenditori interessati solo a spremere operai e impianti: le soluzioni sarebbero a portata di mano ma dalla politica non è venuto nulla.
Anche dove la mano pubblica potrebbe intervenire non mancano i problemi: Flavio Azzena della Agusta Westland ha citato il ricorso a mano d'opera esterna straniera  (“job shopper” liberi professionisti) con funzione di divisione tra lavoratori e il lavoro “fuori casa”, cioè quelle lavorazioni date a terzi, mentre Valerio Barbarato ha parlato della lotta dei lavoratori delle meccanizzazioni postali (sempre ambito Finmeccanica) per difendere il posto di lavoro.
Il Movimento sta mettendo piede nei luoghi di lavoro, come ha ricordato Valerio Melotti della Cgt, ed il rapporto con i lavoratori sui temi politici si rivela assai complicato come ha giustamente ammonito Massimiliano Repetto dell’Ilva.
La precarietà del lavoro è una piaga da superare, ha ribadito Marco Massari della Bondioli & Pavesi, mentre è toccato a Giancarlo Saccoman dello Spi-Cgil inserire nel dibattito i problemi dei pensionati.

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Assemblea del 26 ottobre
La Tavola Rotonda

Resoconto a cura di Roberto Mapelli


Di seguito riportiamo un breve resoconto della tavola rotonda che si è svolta al termine della Assemblea Nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del Movimento per il Partito del Lavoro (sabato 26 ottobre a Sesto San Giovanni, Milano), a cui hanno partecipato Claudio Grassi (Prc), Tino Magni (Sel), Stefano Barbieri (Pdci), Onorio Rosati (Pd), Mirco Rota (Segr. Fiom Lombardia), Nicola Nicolosi (Segr. Naz. Cgil) e Cesare Salvi (Mov. per il Partito del Lavoro). La tavola rotonda, che ha avuto come tema la centralità del lavoro e della sua rappresentanza politica nel progetto di ricostruzione della sinistra nel nostro Paese, è stata coordinata di Giacinto Botti (Segr. Cgil Lombardia).

Apre il giro di interventi Claudio Grassi del Prc. Egli sottolinea come la centralità del tema del lavoro e della sua rappresentanza sia una condizione fondamentale per chi voglia oggi ricostruire in modo efficace la sinistra in questo Paese, e che, proprio il fatto di non aver assunto, con sufficiente impegno e serietà, questo tema, sia la principale causa della crisi radicale che sta attraversando la sinistra alternativa, così come quella moderata. Aggiunge, però, che nessuno dei soggetti oggi presenti nella sinistra (non il Prc, ne il Pdci, ma nemmeno Sel), può essere in grado da solo di praticare realmente questa giusta strada della rappresentanza del lavoro, e che occorre a tale scopo che si aprano veri processi di convergenza e di unità a sinistra. Ma che questi non devono essere preclusi dal tema della partecipazione al governo o da quello delle alleanze con il centro-sinistra. Bisogna – secondo Grassi – imparare a convivere con queste differenze, senza farle diventare assolute e causa di scissioni, come è successo ben 8-9 volte negli ultimi 23 anni, con esiti disastrosi.
Serve guardare alla sinistra alternativa in Europa, finora in grado di restare unita, oltre le pur esistenti differenze interne, come nel caso del Front de Gauche, della Linke o di Izquierda Unida.

Gli fa eco, in proposito, Stefano Barbieri (resp. naz. lavoro del Pdci), che si dice pienamente d'accordo con la proposta unitaria centrata sulla ricostruzione della rappresentanza politica del lavoro, tanto da considerare questa l'unica strada da percorrere nella necessità di passare ad una fase di difesa che limita i danni ad una che ricomincia a proporre da sinistra il cambiamento della società. Barbieri sottolinea l'esito positivo del recente congresso del Pdci, che ha cambiato molto il partito, aprendolo ad una prospettiva unitaria a sinistra, in cui il partito stesso rappresenta solo una parte, benché con proprie caratteristiche e peculiarità culturali e politiche.

Dopo Barbieri, interviene Tino Magni (resp. naz. lavoro di Sel). Anch'egli, da ex-sindacalista Fiom-Cgil, si dice d'accordo con la proposta della centralità del lavoro come asse ricostruttivo della sinistra, e in particolare, si dice d'accordo con le conclusioni di Patta, quando invitava tutti a partire dai contenuti concreti che possono unire, oltre gli elementi ideologici e di schieramento, che invece possono dividere. Sottolinea infatti come anche il documento del prossimo congresso di Sel, evidenzi la non autosufficienza del partito e la sua disponibilità ad allargare il fronte. Ma – ribadisce con forza – come la fase odierna di transizione sia molto complessa e proponga con durezza temi nuovi ed inediti ai quali occorre rispondere con altrettanta innovazione. Oltre ai temi centrali della manifestazione del 12 ottobre ci sono quelli, altrettanto urgenti e importanti, posti da quella del 19 ottobre: casa, ambiente, reddito, precarietà, ecc.. Di fronte a ciò - conclude Magni – serve convincersi di essere in una fase aperta e bisogna essere consapevoli di dover affrontare i problemi della gente in carne ed ossa: quella stessa gente che ci ha puniti tutti, e severamente, nelle ultime tornate elettorali. Quindi bisogna finirla con i politicismi, e proporre concretezza e da qui capacità di mobilitazione. Di fronte alla contro-riforma Fornero delle pensioni non si è mossa una foglia, o quasi, e questo è significativo. Occorre con forza proporre al nostro popolo la ripresa di un welfare universale, come obiettivo comune, in grado di fare sintesi tra le grandi differenze che pure esistono all'interno delle classi subalterne. Infine Magni si dice d'accordo con la proposta unitaria a sinistra, basta che non preluda semplicemente a cartelli elettorali, ma che sia verificata sulla base dei contenuti: “serve sapere se abbiamo le stesse risposte per i problemi concreti che abbiamo di fronte”. E l'obiettivo, ovviamente è costruire una forza politica non da prefisso telefonico, in grado per questo di interloquire alla pari con il Pd e di candidarsi a contare realmente nel governo del Paese.

A questo punto è il momento dei sindacalisti. Attacca Mirco Rota, segretario lombardo della Fiom.  Noi siamo a contatto – dice - con una realtà mai riscontrata nei decenni precedenti: in primo luogo una deindistrializzazione veloce con esiti sociali disastrosi e con la paura dei lavoratori che non rientri, e, in secondo luogo, con l'evidente bisogno di avere una forza politica che davvero interpreti i bisogni del mondo del lavoro e con una risposta di classe alla crisi industriale. La crisi, infatti – ribadisce - non è solo politica: e non penso proprio che la politica non si sia occupata di lavoro finora. Solo che lo ha fatto senza autonomia, con la massima subalternità agli interessi delle imprese e della finanza, tanto che ha cancellato tutta una legislazione nata dal conflitto dagli anni 70. E intanto – continua - i settori chiave della industria italiana non sono capaci di produrre un quadro industriale di prospettiva. Risulta ormai evidente che questo compito non è assolvibile se non con l'intervento pubblico nella economia, in particolare dello Stato, seppur temporaneo. E quindi con un ruolo centrale della politica, che però oggi manca, specie a sinistra.
Ora – conclude Rota – il sindacato ha oggi anche una grande responsabilità politica: perché fare sindacato in tale crisi strutturale non è solo questione di tecnica della contrattazione, ma significa, soprattutto, avere una idea di giustizia sociale adatta e necessaria per il nostro paese... Qui si presenta però una difficoltà: molti compagni del sindacato non sono più militanti di partito, e questo non è detto che significhi più autonomia, quanto meno capacità reale di azione.
Infine Rota lancia un monito: questo partito del lavoro che si vuol fare deve avere con se i lavoratori; è una ovvietà. Ma oggi i lavoratori non guardano con grande simpatia alla sinistra in generale, visti gli ultimi anni. Per riconquistare i lavoratori bisogna partire veramente da questioni concrete, conclude. E si dice molto d'accordo con le proposte di Patta in merito ad un programma operativo di unità, in particolare per il ripristino di una progressività fiscale rigorosa, dettata tra l'altro dalla Costituzione (e accenna come esempio negativo la legge di bilancio di Milano dove i lavoratori dipendenti esclusi dalla addizionale irpef sono al 48%, mentre gli imprenditori lo sono al 68% e i redditieri addirittura all80%).

Subito dopo interviene Nicola Nicolosi, segretario nazionale Cgil e coordinatore nazionale di Lavoro Società. Parte con una domanda: come Cgil, in che modo possiamo rispondere alla domanda fondamentale che le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori hanno posto durante tutti i lavori della assemblea? La domanda è chiarissima. E' domanda assoluta di unità pur dentro la complessità: ciò che non è più possibile – ribadisce con forza Nicolosi - è che il mondo del lavoro non abbia rappresentanza politica. La politica deve tornare a fare sintesi, ma guai a noi se facciamo l'ennesimo cartello elettorale. Serve invece un luogo della politica che sappia rappresentare realmente il sociale nella sua diversità; e, d'accordo con Rota, sottolinea il segretario, occorre far vivere lo scambio dialettico tra autonomia e indipendenza delle organizzazioni sociali (in primis il sindacato) e il partito di massa. E' stata una idea sbagliata degli ultimi 20 anni alimentare l'illusione di fare un partito che insieme volesse seguire la tradizione e contemporaneamente si sostituisse alle forze sociali: è bene che ognuno faccia il suo mestiere.. Solo così – continua Nicolosi - la relazione tra partito politico e movimenti sociali può essere fruttuosa per entrambi, e cambiare realmente il paese. Altrimenti si possono fare le lotte sindacali migliori e le più forti ma, senza politica, si rischia di ottenere quasi niente: la Cgil dal 2009 fino a novembre 2011 ha proclamato da sola, contro Berlusconi, 7 scioperi generali (nei 107 anni di storia della Cgil ci sono stati solo 14 scioperi generali così, di cui appunto 7 nei tre anni citati); con quali risultati? Grande resistenza contro Berlusconi (con Cisl e Uil suoi alleati), ma quasi zero.
E questa è la migliore dimostrazione della necessità vitale del rapporto efficace con la politica.. E – continua Nicolosi con un altro esempio - se non ci fosse stata una Corte costituzionale, che ha dato ragione alla Fiom, avremmo avuto un altro buco nero.
Questa mancanza di politica – conclude Nicolosi – nuoce in primo luogo ai lavoratori e acuisce ancor di più la già persistente crisi del sociale: dal novembre 2011, dalla nascita delle larghe intese (Monti+Letta), che fa le stesse politiche, di fatto, di Berlusconi, il sindacato è in forte difficoltà, tanto è vero che ha fatto passare a maggioranza (noi contrari, con la Fiom) provvedimenti che mai in passato sarebbero passati... E questo grazie alla caduta di autonomia della Cgil, cosa che non è un paradosso, ne in contraddizione, con il bisogno di un partito del lavoro, anzi, proprio il contrario.
Al prossimo congresso della Cgil – afferma Nicolosi – si deve rilanciare con forza il tema del ruolo politico: Cgil significa confederazione generale e questa è stata una grande radice produttiva del movimento operaio, con il partito politico e la cooperazione. Oggi, con la scomparsa di fatto di queste ultime due radici, dobbiamo assolutamente preservare la prima, e da questa dare impulso a che rinasca la rappresentanza politica del lavoro e da essa una nuova sinistra.

Riprendono ora gli interventi dei “politici”. Si comincia con Onorio Rosati, consigliere regionale del Pd ed ex segretario della Camera del lavoro di Milano. Rosati parte dal congresso del Pd in corso. Indipendentemente dalle valutazioni sul Pd in generale – dice - le vicende del Pd devono interessare tutti perché, quando si propone di riorganizzare un fronte della sinistra, occorre per forza avere un polo di attrazione, che certamente non deve conchiudere, ma che serva, al contrario, ad allargare, in una logica di alleanze per vincere. Oggi il rischio è che il Pd declini ancor più in una deriva moderata, ma comunque a sinistra non si supera il carattere frazionistico, nato di fatto dopo la fine del Pci. E questa non è una questione elettorale... e nemmeno solo italiana.
Noi – continua Rosati – abbiamo avuto una specie di via italiana al neoliberismo (Berlusconi), ma esiste un deficit della sinistra nella intera Unione Europea. Se stiamo nel perimetro delle regole del gioco della Ue e della Bce non c'è spazio per una sinistra: viene meno la variabile democratica stessa, che è la possibilità della ridistribuzione della ricchezza prodotta, come risposta sociale alla diseguaglianza, enormemente aumentata in questi anni. Dentro questo quadro c'è anche il deficit di rappresentanza del lavoro. Per Rosati occorre avere la capacità di ripartire da qui indipendentemente dai ruoli e dalle politiche diverse, assunti da tutti fino alle larghe intese, che comunque presto finiranno. O rimettiamo in discussione il perimetro delle condizioni liberiste nella Ue oppure niente sinistra. Una sinistra che si candida a governare – continua Rosati - deve aver chiaro il suo punto di partenza: è il lavoro e le sue contraddizioni. Ma una rappresentanza del lavoro deve saper dialogare con l'insieme del paese, sennò sarà insufficiente... Lo scopo è la modernizzazione e l'innovazione che riduce la diseguaglianza... Per questo – si augura Rosati - spero che vi stiate sbagliando sul destino inesorabile neocentrista del Pd; se fosse così restituirei subito la tessera. Va agita la battaglia interna, anche indipendentemente dall'esito del congresso, per tenere aperta una fondamentale possibilità di azione politica. Noi che sosteniamo Cuperlo, ad esempio, rivendichiamo identità di sinistra (che non è una bestemmia) e rivendichiamo politiche di alleanze a sinistra; Renzi invece teorizza il partito contenitore dove dentro c'è tutto e il contrario di tutto e fuori nulla... per cui non serve allearsi... Per questo – conclude Rosati - io vedo con molto favore chi si organizza a sinistra con lo scopo di collaborare a dare un governo diverso al nostro Paese e una direzione alternativa all'Europa.

Chiude gli interventi Cesare Salvi, coordinatore nazionale del Movimento per il partito del Lavoro. Egli sottolinea l'esito positivo e anche entusiasmante della assemblea con un dibattito tra i lavoratori interessantissimo con un alto ragionamento politico (“altro che Ballarò”). Ma evidenzia la profondità del nostro dramma: “non c'è più la sinistra”. E rivolgendosi a Grassi, che si interroga sulla alleanza col Pd, si chiede: ma chi fa o no questa alleanza? La prossima legge elettorale avrà lo sbarramento tra il 4 o il 5%, oppure, e peggio, sarà fondata sul maggioritario uninominale.. “Ma che alleanze, se spariremo tutti?”. Occorre riunificare e riorganizzare una sinistra - continua Salvi -, tornare a unire a partire dal lavoro e dalle sue contraddizioni. E chi lavora deve pigliare in mano le redini di questa sinistra... perché senza non si va da nessuna parte.. Intanto - prosegue – serve unire quello che c'è: e domanda a tutti: siete disponibili? Esiste o no questo problema?
Io sono molto allarmato anche sul piano della democrazia – continua. L'operazione in corso della revisione costituzionale viene da lontano: viene anch'essa dalla offensiva neoliberista della fine degli anni 70... Milton Friedman e Von Hayek hanno aperto la strada economica, mentre la Trilateral parlava dell'eccesso di democrazia che determina una mancanza di governabilità: bisogna ridurre la democrazia, fu l'imperativo... Ed oggi, JP Morgan ci dice che in Europa ci sono Costituzioni “socialiste” che non permettono le misure anticrisi... cioè i tagli sociali e il massacro dei lavoratori. Così i governi hanno ceduto potere ad istanze non sottoposte al controllo democratico dei cittadini.. Democrazia, diritti civili e diritti del lavoro – sentenzia Salvi - o vanno avanti tutti insieme o vanno indietro tutti insieme. Così negli anni 70, tanto vituperati, abbiamo avuto lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, la scuola pubblica e il Sistema sanitario nazionale... Se non ci si connette con la questione sociale, non si fa da nessuna parte: bisogna gridarlo e dirlo anche ai nostri amici della “via maestra”.
Penso – conclude Salvi - che si debba andare avanti con il nostro movimento (“non siamo un partito”), che non è affatto precluso a chi è iscritto ad altre istanze: se siamo d'accordo, mettiamoci tutti insieme per fare un partito del lavoro grande... con forme anche nuove. Servono facce nuove e  parole d'ordine diverse per prospettive diverse... e un modo per partire anch'esso diverso... Pensiamoci... iniziamo dalla partecipazione diretta dei lavoratori, come è avvenuto oggi, che devono decidere... E Così fatto mi accontenterei, per ora, anche di un partito di media-massa.
Salvi infine conclude così: bisogna ripartire dal vecchio con la barba, non da tutto quello che ha detto, ma dalla contraddizione centrale tra chi possiede i mezzi di produzione e chi non li ha e ha solo il suo lavoro da vendere..., per costruire una grande forza della sinistra che veda nel lavoro e nei principi costituzionali la sua ragion d'essere e che dia finalmente una speranza di cambiamento ai lavoratori e alle lavoratrici di questo nostro paese.

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Il punto sulla crisi: settembre 2012

La crisi si sta semplicemente aggravando, in Italia, in Europa, in Occidente, nel mondo, e appare oramai foriera a breve di tracolli locali, segnatamente nella zona euro, suscettibili a loro volta di pesanti aggravamenti della crisi globale. L’Italia è uno dei paesi nei quali questo potrebbe facilmente avvenire. Le ragioni dell’aggravamento della crisi, giova precisare, stanno primariamente oggi negli orientamenti di politica economica, totalmente prociclici, delle autorità comunitarie e del grosso di quelle nazionali dei paesi dell’Unione Europea, legate a schematizzazioni liberiste e monetariste e ai grandi interessi borghesi-capitalistici e di ceto politico tradizionale di governo. Il senso fondamentale degli orientamenti di queste autorità è, usando la crisi, la radicalizzazione del processo di spostamento di reddito dal basso verso l’alto della gerarchia sociale, lungo la linea delineata dai Trattati costitutivi dell’Unione Europea, quindi colpendo salari, tutele del lavoro, stato sociale, carattere pubblico dei servizi di base. Esse così ritengono di ricostituire condizioni di profitto e di agevolare, come meccanica conseguenza di ciò, la ripresa produttiva. Ma l’esperienza in corso si è semplicemente incaricata di dimostrare che oggi non può accadere niente di diverso rispetto a quel che già accadde subito dopo il crack finanziario del 1929: cioè che gli effetti di restringimento della spesa pubblica e di caduta libera della domanda sociale determinati da questi orientamenti ottengono effetti completamente contrari alle aspettative di ripresa. Sono anche, detto altrimenti, radicalmente anti-economici, e come tali suscettibili di avvitamenti critici di qualità sistemica. Il seminario che qui di seguito proponiamo non intende fare (già lo abbiamo fatto in passato) la storia della crisi in corso, se non per comprendere meglio i suoi sviluppi attuali. Questa migliore comprensione è quindi uno dei due obiettivi primari del seminario. L’altro è la messa a fuoco degli obiettivi di una politica economica alternativa, orientata effettivamente alla ripresa produttiva e alla tutela e al miglioramento delle condizioni di lavoratori e classi popolari in generale, non più intesa come sommatoria di obiettivi particolari ma come quadro programmatico organico. Quanto a quest’ultimo obiettivo, la preoccupazione è anche data da una sua concretezza ovvero da una sua sua praticabilità nelle condizioni politiche del paese, cioè una volta terminata, si spera prima possibile, l’esperienza del Governo Monti e avendo vinto le elezioni politiche un complesso di forze di centro-sinistra, come sembra più che possibile, benché, anche per palesi demeriti soggettivi, non certo.

Milano - sabato 22 settembre 2012 – ore 10-18
Punto Rosso-Libreria Les Mots
Via G. Pepe 14 (ang. Via Carmagnola - MM2 Garibaldi)

programma
ore 10-13.30: il punto sulla crisi
- Il punto sulla crisi in Italia, relazione di Gabriele Pastrello
- La situazione della UE, relazione di Stefano Squarcina
- Il ruolo della Germania, relazione di Heinz Bierbaum
- La situazione in Francia, relazione di Joseph Halevi
- Mario Draghi: “Lezioni di marxismo”, relazione di Riccardo Bellofiore

Interventi e dibattito
ore 14.30-18: per un programma alternativo di governo

- Introduzione di Luigi Vinci
- Quali interventi finanziari e monetari immediati e a più lungo termine, relatore da definire
- Quale ricostruzione economica del paese, quale politica industriale e di sviluppo, relazione di Roberto Romano
- Intervento pubblico e servizi di pubblica utilità, relazione di Matteo Gaddi
- Il quadro politico italiano, relazione di Gian Paolo Patta

Interventi e dibattito

Conclusioni di Nicola Nicolosi (Segr. Naz. Cgil)

Organizzano
Rivista “Progetto Lavoro – Per una sinistra del XXI secolo”, Associazione Culturale Punto Rosso, CGIL-Lavoro Società

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PRIMA DI TUTTO IL LAVORO


UN PROGRAMMA DI SINISTRA PER LA LOMBARDIA
Nella scadenza importante delle prossime elezioni regionali, un contributo alla discussione dei contenuti di un programma di sinistra. Con un'attenzione particolare alla crisi economica, alla emergenza occupazionale e alla svalorizzazione del lavoro.

Milano – mercoledì 5 dicembre 2012 – ore 18-20.30
Camera del Lavoro – Corso di Porta Vittoria 43

introduce e modera Giacinto Botti (segr. Regionale Cgil Lombardia)

comunicazioni

- Gian Paolo Patta - Perché occorre alle prossime elezioni un’alleanza larga di centro-sinistra: crisi economica, crisi democratica, crisi industriale
- Matteo Gaddi - La Lombardia nella crisi e la costruzione di un partito di classe
- Giorgio Riolo - Il lavoro come prima radice: crisi morale e nuova politica

organizzano
rivista “Progetto Lavoro-Per la sinistra del XXI secolo”, Associazione Culturale Punto Rosso, Movimento per il Partito del Lavoro

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